Francesco, Gianna e La Mursa: Una storia d'amore e vino a Capraia
C’è un’isola che spunta in mezzo al mare a quaranta chilometri da Livorno, più vicina alla Corsica di quanto non lo sia all’Italia. Sembra l’inizio di una bella storia, e infatti lo è. È la storia di Francesco e Gianna, che hanno creato un’azienda agricola, La Mursa, sull’isola di Capraia, recuperando i terreni dell’ex colonia penale destinati a uso civico dal Comune, dopo un contenzioso durato quarant’anni col Demanio. Qualcuno parla di viticoltura eroica; e in questa storia, insieme all’eroismo c’è anche una punta di meravigliosa follia.
Francesco Cerri, classe 1991, studia all’Istituto tecnico agrario Anzilotti di Pescia; vive in convitto, “da dove”, racconta, “tornavo a casa solo per le festività, tre o quattro volte l’anno”; sono anni lontani dalla sua famiglia e dalla sua Capraia, ma sono anche anni belli, spensierati, di esperienze cameratesche e di amicizie che dureranno tutta la vita. Torna con un diploma di perito agrario in tasca e si arrangia con lavoretti stagionali, quando l’isola si popola di migliaia di turisti e c’è da gestire il forno e il negozio di alimentari di famiglia. L’urgenza di creare qualcosa di suo, di far fruttare i suoi studi, ancora non c’è: bisognerà aspettare Gianna. E Gianna arriva; sette anni fa, dalla Puglia. Accetta una supplenza annuale al “Nolli”, l’unica scuola dell’isola che comprende infanzia, elementari e medie, e non sa ancora che la sua vita sta per cambiare. Francesco e Gianna si innamorano, si sposano, hanno un figlio che oggi ha due anni, Riccardo: ha i capelli biondi dei bambini che crescono al mare e respirano salmastro. Nel frattempo La Mursa prende forma; un ragazzo che ha studiato da convittore a Pescia insieme a Francesco, Lorenzo Corsi, gli presenta suo zio, Stefano Dini, agronomo già affermato; e dalle sue competenze, dalla caparbietà di Francesco e dall’entusiasmo di suo padre Stefano nasce l’idea di produrre un vino che abbia i profumi dell’isola e il suo carattere deciso. Francesco sa che l’abbandono dell’agricoltura isolana, a causa dello spopolamento e dei mufloni, ha causato cent’anni prima la scomparsa del vitigno autoctono; così sceglie il più simile, il Grenache, lo stesso che cresce a Capo Corso. Inizia a coltivare viti a alberello, resistenti ai venti selvaggi che spazzano le alture, sui lunghi terrazzamenti attorno al carcere; ci passa a malapena il motocoltivatore, i sottofila vanno lavorati a zappa, racconta, e sembra di sentirne la fatica. In tutto sono 6500 ceppi su due ettari terrazzati: gli danno una mano il padre e qualche lavoratore stagionale, mentre altri agronomi collaborano alla riuscita del vino: Dario Ceccatelli, Emiliano Falsini e lo stesso Dini. La Mursa diventa, oltre che un progetto comune, una specie di grande famiglia.
Oggi della commercializzazione del vino si occupa soprattutto Gianna; fa tutto tramite email, approfittando per le spedizioni delle corse dell’unico traghetto che attracca sull’isola una volta al giorno, o vendendo il vino ai turisti nel negozio di famiglia; il prossimo anno sarà pronta la cantina che stanno realizzando, gli affari continueranno a crescere. Francesco non dice “il prossimo anno”: dice “per la prossima vendemmia”. Qui i tempi sono quelli del vino, dei cicli dell’agricoltura; e il tempo si misura in modo diverso che sul continente, si accorda al calendario dei lavori da fare nei campi. Il tempo ha la lentezza dei ritmi delle stagioni. E in chi ascolta rapito il racconto di questi due straordinari ragazzi - sembra assurdo ma è così: provate ad ascoltarli di persona, un giorno, e Capraia coi suoi colori vi sembrerà più vicina - ne assume anche le sfumature.